Un’annosa questione ha afflitto per svariati anni i lavoratori nel settore delle Pubbliche Amministrazioni e quindi anche nel comparto sanitario, non solo in Sardegna ma anche nel resto della penisola.
A partire dal 2010 non è stata infatti riconosciuta a questi professionisti la progressione economica in carriera, cristallizzando, di fatto, i loro incrementi salariali.
Nel resto dell’articolo analizzeremo come la situazione si è evoluta e cosa ha comportato.
I fatti più rilevanti e recenti sul “blocco retributivo”
Nell’ultimo anno sono stati raggiunti accordi importanti per la risoluzione di questa situazione.
Ripercorriamo le fasi più salienti, cercando di cogliere le implicazioni economiche e sociali di questo ‘blocco retributivo‘ e perchè la progressione di carriera sia così importante ai fini del buon funzionamento del settore produttivo (pubblico e privato).
Per capirci, ponete il caso di avere maturato svariati anni di esperienza e competenze.
In nome di queste, immaginate di star aspettando una maggiorazione del vostro stipendio e una nuova collocazione nella fascia superiore di pertinenza, ciò che in molti definirebbero come la tanto attesa e agognata ‘promozione’.
Ad infrangere i vostri sogni di gloria è stato il Decreto Legge 78/2010, art. 9 (comma 1 e 21) che, allo scopo di contenere le spese nel pubblico impiego, ha sancito il ‘blocco retributivo’ relativo al triennio 2011-2014 per tutte le categorie e settori delle P.A., compreso il comparto sanitario in Sardegna.
A conferma di questo blocco di carriere vi sono i dati relativi alle aziende ospedaliere ed (ormai ex) ASL della Ragioneria Generale di Stato sulla distribuzione delle fasce retributive tra il 2009 ed il 2014.
Inutile dire che essi rivelino una situazione sostanzialmente immutata causa ‘blocco retributivo’, con una percentuale di copertura relativa alla sesta fascia (la più alta) non superiore al 3,13% per la ex ASL Cagliari n.8.
Nel caso dell’Azienda ospedaliera Brotzu e della ex ASL di Carbonia n.7, questo dato si riduce allo 0 %.
Un quadro, questo, che ben descrive la situazione di totale stallo in Sardegna.
Anni in cui all’esperienza e al know-how maturato col tempo, non è seguito, come la logica aziendale imporrebbe, un avanzamento di carriera e un adeguamento salariale.
L’illegittimità del blocco nella sentenza del 2015
Nel 2015 la sentenza n.178 della Corte Costituzionale ha ritenuto illegittimo questo blocco (seppure senza effetto retroattivo).
Dapprima la Legge di Stabilità 2015 (L.n 190/2014) e poi la legge regionale sarda n.28 dell’11 novembre 2016 hanno ripristinato la mobilità tra le fasce e gli scatti di carriera, determinando l’adeguamento salariale ma senza la corresponsione degli arretrati per il triennio di riferimento (a testimonianza di come un provvedimento nato per sortire effetti limitati nel tempo, abbia invece avuto effetti definitivi in termini previdenziali).
A dispetto della norma e dell’abolizione formale del blocco di progressione salariale, l’iter che ha finalmente condotto in modo sostanziale ad una riforma del Contratto Collettivo Nazionale (CCN) per il comparto sanitario è stato piuttosto farraginoso.
Burocrazia e sviluppi successivi
Il percorso è stato segnato da una lunga burocrazia e solo dopo due anni, il 4 Dicembre 2018, si è giunti alla stipula del contratto di pubblico impiego fra tutte le parti (eccezion fatta per Nursing Up e Nursind), rappresentate dai sindacati del comparto sanitario e dalle Rsu aziendali (Rappresentanza sindacale unitaria).
Ad animare questo nuovo accordo ‘multi-partisan’ i principi di:
- Trasparenza.
- Meritocrazia.
- Valorizzazione professionale.
Lo smantellamento del vecchio sistema sanitario localmente decentrato e basato sulle ASL con la contestuale riorganizzazione dello stesso in un’unica azienda sanitaria ‘Ats’, Azienda per la tutela della salute, potrebbe aver ridotto le tempistiche per trovare l’accordo e aver garantito maggiore trasparenza nel processo.
Infatti, lo schema salariale verrà gestito da questo unico ente aziendale, eliminando (o limitando) in tal modo gestioni totalmente discrezionali dell’assetto retributivo a livello locale (‘contrattazione decentrata’), le quali facevano emergere differenze immotivate a livello di retribuzioni.
Lo stesso Luciano Oppo (direttore delle Risorse Umane dell’Ats) ha motivato la scelta di accentrare la gestione dell’inquadramento salariale in virtù di «una nuova forma di equità lavorativa, finalizzata al superamento dell’iniquità retributiva tra le diverse aree territoriali delle ex Asl».
I vantaggi di avere un’unica azienda sanitaria “Ats”
In tal modo si garantisce una maggiore equità di trattamento ai dipendenti pubblici accomunati dallo stesso inquadramento professionale.
Un intervento questo che ha coinvolto complessivamente circa tremila dipendenti dell’Ats, animato dunque dalla volontà di arginare le disuguaglianze di reddito ‘within sector’ (interne allo stesso settore), ma anche per premiare il merito e creare un sistema di incentivi appropriato che, troppo spesso, nelle pubbliche amministrazioni è venuto a mancare.
Aumentare l’efficienza e la qualità con un sistema retributivo meritocratico (e senza blocchi)
Un sistema retributivo che non premia né il merito né l’esperienza è fallace e destinato a sopperire.
La logica aziendale vede infatti nel sistema degli incentivi uno strumento attraverso cui motivare il lavoratore, rendendolo più produttivo, più soddisfatto ed efficiente.
Lo ‘sblocco retributivo’ si configura dunque come tappa obbligata nel processo di modernizzazione del comparto sanitario in Sardegna.
In tutti i settori l’efficienza e la qualità della prestazione fornita sono di vitale importanza, ancor di più trattandosi del comparto sanitario.
Una gestione più efficiente e meritocratica dell’inquadramento salariale può generare, in linea di principio, maggiore efficienza in termini di costi (‘economie di scala’ derivanti dal nuovo accentramento gestionale), di trasparenza e di stabilità nella gestione dei servizi, creando effetti di spillover potenzialmente benefici per l’intera comunità.